L’incredibile storia di Vittorino Pelli

Con questo sito, la famiglia Pelli desidera ricordare la figura del proprio caro, il Cavaliere della Corona d’Italia Vittorino Pelli che, con spirito patriottico, nell’inverno del 1917, operò su incarico governativo, a favore dell’Italia in guerra, la cui vittoria fu anche merito dei boschi della montagna calabrese.

Proponiamo pertanto l’articolo seguente, apparso sulla Gazzetta del Sud del 1984, a firma del giornalista Francesco Cipriani.

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L’eroe Aspromonte

Con il legno ricavato da pini, faggi e castagni vennero costruite aste per i fucili che servirono ai nostri soldati a cancellare Caporetto. Il cantiere di Prateria coprì l’85 per cento del fabbisogno bellico – Inviati al fronte anche 17 milioni di picchetti per accampamenti e trincee. I meriti del “generale” Vittorino Pelli, che toccò il cuore della gente con un manifesto-appello.

Quando l’Aspromonte non ospitava summit mafiosi, non era rifugio dl latitanti né costituiva luogo ideale per nascondere gli ostaggi dell’anonima sequestri, v’era chi lo esaltava: dallo scrittore inglese Norman Douglas (che nella sua famosa opera “Vecchia Calabria” lo definì “calamita delle nuvole”) al nostro Corrado Alvaro con i suoi racconti che avevano il profumo delle carbonaie e dei ciclamini sotto le chiome immense e fitte dei boschi di pini, faggi e castagni.

Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, al tempo della guerra di Carlo Magno contro i saraceni, le sue gole selvagge ispirarono la “chanson d’Aspromont’. Vi fu un mondo di leggende e, infine, il suo nome trovò posto nella storia d’Italia, quel 29 agosto del 1862, con il ferimento di Garibaldi nel quadro della cosiddetta “questione romana” nella quale entravano il primo ministro Rattazzi, fedelissimo di re Vittorio Emanuele II, il pontificato e Napoleone III.

Poi ancora avanti nel tempo, vi fu la colorita triste vicenda del brigante Musolino che, non si sorprenda nessuno, ebbe la sua parte di utilità per alcuni paesi isolati che furono collegati telefonicamente con il mondo, per ragioni di Stato, o por dir meglio, per facilitare l’azione delle guardie regie e dei carabinieri che non riuscivano, come non riuscirono, a catturare l’uomo che girovagava per i boschi e compiva le sue spietate vendette. Purtroppo, tra tutte queste cose, uno stupenda pagina dell’Aspromonte è stata sommersa da una coltre d’oblio: quella che caratterizzò la preparazione della vittoria del Piave.

Chi era Vittorino Pelli?

Orsono quasi 110 anni, un industriale dell’alta Italia venne in Calabria, e si fermò a Giffone. Noleggiò un mulo e si affidò ad una guida sicura, un buon montanaro che conosceva i luoghi come gli angolini della sua abitazione. V’era da camminare ore e ore per salire sulla montagna ricoperta di faggi.

L’Italia era in guerra e quell’uomo del nord era stato mandato dal governo per dirigere un cantiere nella località chiamata Prateria. Ingaggiò 300 operai e 100 carrai. Fece assestare alla meno peggio una specie di carrera messicana e fece installare una decauville. Si rimboccò le maniche e si mise a lavorare sodo. Era come un generale al suo gran quartiere. Vittorino Pelli, questo il suo nome.

Proveniva dalla Lombardia, da Lodi. lniziò una serrata operazione per l’abbattimento dei faggi ed il loro trasporto alla segheria ove non si faceva che ricavarne aste per fucili che, appena pronte, duecento buoi trasferivano alla stazione ferroviaria di Rosarno per l’inoltro alle fabbriche d’armi.

Venne l’amara disfatta di Caporetto e al direttore del cantiere di Prateria, nel novembre del 1917, venne recapitato dai carabinieri un dispaccio proveniente dalle fabbriche d’armi di Terni e di Roma. Era un appello: “Intensificate la produzione per la salvezza della Patria”,

Gli stabilimenti approntavano i fucili ma per questi non occorreva soltanto l’acciaio. Necessitava anche il legno.

Il manifesto-appello di Vittorino Pelli

Vittorino Pelli fece allora affiggere un manifesto che era come un proclama. Vi si leggeva:

“Abbiamo il nemico in casa figli miei, e voi comprenderete quanto sia necessario ributtarlo dal nostro sacro suolo. Ma per ottenere questo, per ottenere che la vergogna che ci opprime abbia presto a scomparire, occorre la cooperazione e la concordia di tutti i cittadini che non sono indegni di tal nome. Il nostro cantiere è I’unico in Italia che può e deve fornire ai fratelli combattenti una quantità considerevole di fucili.

 

La stagione attuale poco si presta, è vero, ad un lavoro intenso, ma appunto per questo noi dobbiamo triplicare le nostre energie per ottenere lo scopo.

 

Pensate ai vostri figli, ai vostri fratelli, parenti ed amici che combattono al fronte e stanno compiendo atti di vero eroismo per respingere il nemico.

 

Pensate ai disagi infiniti che essi devono sopportare. E non sentite voi pure il sacro dovere di cooperare con tutte le forze all’opera loro che viene compiuta con tanta abnegazione?’

 

Si, miei buoni italiani, miei buoni calabresi! Voi non rimarrete sordi al mio appello. Voi, Tabaro, voi Ciaccio, ed altri non pochi, che dal piombo nemico foste orbati dei figli vostri, voi dovete infondere ai vostri compagni il sacro fuoco che vi strugge.

 

Pensate che gli uccisori dei vostri figli stanno ora burbanzosi in casa nostra e quanti più fucili potrà dare Prateria tanto più presto il giogo infame ci sarà tolto, ed il nostro cantiere potrà santamente gloriarsi di avere largamente contribuito alla cacciata dell’austriaco, eterno nemico d’Italia.

 

Baderete voi ad un po’ di pioggia, ad un po’ di freddo o vento, per retrocedere o far mancare ai soldati un’arma tanto necessaria? No, ripeto perché ho fede in voi”.

Fu mobilitazione generale anche fra la gente di Praterìa. I boscaioli sferrarono la loro offensiva con le scuri. All’amarezza della invasione austro-ungarica si era aggiunto uno degli inverni più rigidi.

Nevicava, ma anche i ceppi sepolti dalla candida coltre vennero attaccati con rabbia e sradicati. Il cantiere di Praterìa, tra i 65 fornitori di tutta Italia, da solo coprì per l’85% il fabbisogno di aste per fucili ed oltretutto inviò al fronte 17 milioni di picchetti per gli accampamenti e per le trincee.

Fu quello un valido contributo alla vittoria tanto che Re Vittorio Emanuele III conferì a Vittorino Pelli la onorificenza di cavaliere della Corona d’Italia.

Il trenino verde di Paolo Pelli

Il volitivo uomo lombardo si era infine tanto legato ai luoghi ed alla gente che non volle tornare al suo paese. L’aveva conquistato il fascino dei boschi dell’Aspromonte. Si fece raggiungere dal figlio Paolo, laureatosi come lui in ingegneria, ed acquistò la faggeta “Umbri” di proprietà del Duca Riario Sforza, successivamente divenuto comandante dei corazzieri del Re.

Un’altra grande segheria venne installata a Giffone e venne costruita una nuova decauville (la più lunga di Europa: 28 chilometri) tra Monte Crocco e Monte Seduto, l’uno alto 1.268 metri, l’altro 1.140.

L’ingegnere Paolo Pelli fu negli anni successivi per molto tempo sindaco democristiano del Comune. Fu lui che realizzò una preziosa opera di rimboschimento su una superficie calcolata di oltre 200 ettari nuda come il cranio di un calvo. Pose a dimora 20.000 pini, 200.000 piante di castagno e 2O.000 di noci. Nacque così una foresta stupenda, rigogliosa, fitta fitta, tra immenso silenzio rotto qua e la dal romantico sciacquìo dei ruscelli.

Nella primavera del 1955 i carrelli della decauville furono agghindati a festa. Al posto dei grossi tronchi, che i buoi trasportavano fino alle rotaie, furono inchiodate delle panche e il convoglio divenne quello che Lionello Fiumi in un suo articolo chiamò suggestivamente “trenino verde”.

Sferragliando, questo trenino penetrava nella immensa faggeta odorante di funghi e di fragole, mentre le felci, al veloce passare, vellicavano il viso di tutti coloro che erano stati invitati per lo straordinario viaggio su una linea snodantesi flessuosamente come un serpentello. La locomotiva, piccolissima, sembrava volesse impersonificare il mondo dei cartoni animati di Walt Disney; fischiava e veloce, sbuffando anch’essa, dandosi un sacco di arie, superba andava incontro alle boscaglie che sembravano avanzare come valanghe di verde.

Sul trenino, tra gli invitati – autorità, operatori economici, giornalisti – il più felice ora l’on. Italo Greco – presidente dell’Ente provinciale per il turismo – che sognava di valorizzare turisticamente tutta la zona.

Corrado Alvaro

Nel vagoncino di coda avevano preso posto Corrado Alvaro e la moglie Laura. Lo scrittore di San Luca era soddisfatto (e lo dimostrava), di ritrovarsi sul suo Aspromonte. Se ne stava immerso nei pensieri.

Forse ricordava quando studente di Liceo a Locri, i professori scoprirono il suo talento letterario in quel famoso suo componimento in classe che cominciava così:

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Camminavo solo, avanti per Polsi; dietro di me la tenace zampa del cavallo tormentava la terra. Non guardavo se non i massi minacciosi, ritti sul sentiero tagliato da tanti passi nei secoli, nel seno vivo del monte che inclinava alla valle gli alberi immensi.